Per chi cerca una parola di sostegno e un cuore in ascolto …

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martedì 30 giugno 2015

Trasformare le ferite in perle

 La perla è splendida e preziosa.
Nasce dal dolore.
Nasce quando un’ostrica viene ferita.
Quando un corpo estraneo – un’impurità di sabbia – penetra al suo interno e la inabita, la conchiglia inizia a produrre una sostanza (la madreperla) con cui lo ricopre per proteggere il proprio corpo indifeso. Alla fine si sarà formata una bella perla, lucente e pregiata. Se non viene ferita, l’ostrica non potrà mai produrre perle, perché la perla è una ferita cicatrizzata.
Quante ferite ci portiamo dentro, quante sostanze impure c’inabitano? Limiti, debolezze, peccati, incapacità, inadeguatezze, fragilità psico-fisiche… E quante ferite nei nostri rapporti interpersonali? La questione fondamentale per noi sarà sempre: cosa ne facciamo? Come le viviamo?
La sola via d’uscita è avvolgere le nostre ferite con quella sostanza cicatrizzante che è l’amore: unica possibilità di crescere e di vedere le proprie impurità diventare perle.
L’alternativa è quella di coltivare risentimenti verso gli altri per le loro debolezze, e tormentare noi stessi con continui e devastanti sensi di colpa per ciò che non dovremmo essere e per ciò che non dovremmo provare.
L’idea che spesso ci portiamo dentro è che dovremmo essere in un altro modo; che, per essere accettati da noi stessi, dagli altri e da Dio, non dovremmo avere dentro di noi quelle impurità indecenti. Vorremmo essere semplici “ostriche vuote”, senza corpi estranei di vario genere, dei “puri” insomma. Ma questo è impossibile, e anche qualora ci considerassimo tali, ciò non significherebbe che non siamo mai stati feriti, ma solo che non lo riconosciamo, non riusciamo ad accettarlo, che non abbiamo saputo perdonarci e perdonare, comprendere e trasformare il dolore in amore; e saremmo semplicemente poveri e terribilmente vuoti.
E’ fondamentale giungere a comprendere l’importanza – in noi e fuori di noi, nelle nostre relazioni – della presenza dei limiti, delle ferite, delle zone d’ombra; capire, alla luce del messaggio evangelico, che tutto ciò che del nostro ed altrui mondo interiore è segnato dall’ombra e dal limite, è l’unica nostra ricchezza, e che proprio lì è possibile fare esperienza della nostra salvezza. Insomma, che non vi è nulla dentro di noi che meriti di essere gettato via.
Tutto può essere trasformato in grazia, persino il peccato, diceva Agostino. Persino la nostra sessualità ferita e le nostre nevrosi, aggiungeremo noi, a condizione di farne un’occasione per aprirsi, per accogliere e condividere. Avremmo perciò torto a disprezzarle. Dobbiamo invece imparare a farne buon uso.
Se cominciamo a ragionare in questo modo, vuol dire che s’è compiuta in noi la vera conversione, ovvero siamo finalmente giunti a non pensare più che la “purezza”, l’assenza di debolezza e di peccato, siano la nostra salvezza, ma proprio il contrario. La salvezza, la santità, sarà finalmente renderci conto della nostra verità, ovvero che siamo feriti, limitati, fragili, ma al contempo oggetto dell’amore “folle” di un Dio che – proprio perché siamo fatti così – viene a visitarci e ad inabitarci. La santità, in questa ottica, ha così poco a che vedere con la perfezione che ne è l’assoluto contrario!
Il Vangelo rivela continuamente che tutto ciò che ha sapore del limite racchiude in sé anche la possibilità del suo compimento. Gesù dice a ciascuno di noi: “Ama quella parte di te che non vorresti avere. Comincia ad avvolgerla con l’amore e alla fine constaterai di avere in te una perla preziosa, perché nella ferita riconosciuta, avvolta dall’amore, sperimenterai il tesoro che ti porti dentro”.
Con insistenza il Vangelo ci esorta a “mettere nel mezzo” il nostro limite e la nostra fragilità. Mettere nel mezzo le nostre zone d’ombra vuol dire riconoscere da una parte la loro esistenza, e dall’altra che esse, dinanzi alla resurrezione di Cristo, non sono l’ultima parola sulla nostra umanità.
Dobbiamo deciderci se optare per la forza o per la debolezza.
La nostra inadeguatezza, la nostra debolezza, è una forza più grande di ogni altra, poiché ha la forza stessa di Dio: “Quando sono debole, è allora che sono forte” (2Cor 12,10).
Questa verità dovrebbe tornare al centro del nostro vivere cristiano. Come già detto, nei Vangeli al centro della scena vi è sempre l’uomo nella sua malattia, nel suo essere ferito, debole, fragile. Perciò anche al centro dell’assemblea (della comunità, della nostra famiglia, della Chiesa…), al centro del nostro vivere da cristiani non campeggiano la forza, il farcela da sé, l’osservanza ossessiva dei precetti santi, l’essere moralmente irreprensibili… ma vi è solo la nostra debolezza. 


          Tratto da:“Elogio della Vita Imperfetta. La via della fragilità” Paolo Squizzato


 

giovedì 18 giugno 2015

Un angolo... di ascolto

Isaia 53
Non ha apparenza né bellezza
per attirare i nostri sguardi,
non splendore per poterci piacere.
Disprezzato e reietto dagli uomini,
uomo dei dolori che ben conosce il patire.
Come uno davanti al quale ci si copre la faccia;
era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima.

Ogni uomo è degno di stima. Ogni uomo ha diritto di essere amato. Ogni creatura è bella, unica nel suo genere. Rileggi con calma le parole del profeta Isaia e falle risuonare nel tuo cuore, a me più volte, in vari momenti bui della mia vita hanno dato conforto perché mi sono sentita proprio come l’uomo descritto nella Bibbia. Mi sono sentita come lui: sola, abbandonata anche dagli affetti più cari, mi sono sentita un niente. Il disprezzo fa male e lascia dentro di noi una ferita profonda che è difficile da sanare. Ma il dolore scava nel segreto del nostro cuore e deposita una traccia che va amata e custodita come una perla preziosa. Se avremo la pazienza e la perseveranza di aspettare, poi con grande sorpresa e gratitudine raccoglieremo i frutti maturi delle nostre sofferenze e, se vorremo, li spartiremo con gli altri per accompagnarli lungo le strade che noi stessi abbiamo percorso.
La storia della mia vita è alquanto complessa, ma negli anni ho trovato persone che con la loro saggezza, la loro pazienza, il loro ascolto mi hanno traghettata verso una maggiore serenità interiore. Con i miei amici di un tempo ho imparato la spensieratezza e la voglia di sfidare il mondo. Mio padre mi ha insegnato la virtù della speranza e della perseveranza. Mio marito mi ha regalato il suo amore incondizionato. I miei tre figli mi hanno portato in dono la gioia. I sacerdoti a cui ho confidato le mie pene mi hanno offerto supporto e compassione. Infine, in seno al mio cuore si racchiudono in un solo anelito tutte le persone che nel corso degli anni hanno condiviso le loro esperienze di vita con me: ricordo la grande dignità degli immigrati senza patria né identità; la fragilità degli anziani e i loro occhi densi di sapienza; la fede dei carcerati in un domani migliore; le anime sole in attesa che qualcuno si accorga di loro.
Questo blog non nasce dalla mia voglia di raccontarvi di me, ma dalla mia ben più grande esigenza di lasciar parlare voi. Sono qui per ascoltare, per confortarvi col balsamo della comprensione e della parola laddove mi sia possibile, ma principalmente vi offro un angolo di silenzio dove poter esprimere le vostre riflessioni, dispiaceri o contrarietà. L’ascolto è un dono sia per chi lo offre che per chi lo riceve. Risponderò con cura ed attenzione nei momenti in cui sarò libera dai miei impegni famigliari.
A presto

Vorrei col tempo condividere alcune parti delle vostre lettere che mi hanno particolarmente colpito o che possono risultare di aiuto alle persone che stanno vivendo esperienze analoghe alla vostra, se non desiderate spartire il vostro vissuto personale all’interno del blog vi prego di riferirmelo durante il nostro contatto privato via mail.
Martina 


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La mia mail, la trovate nel mio profilo blogger.